diFabrizio Roncone, inviato a Iserlohn
Discreto con l'Albania, imbarazzante con la Spagna, male con la Croazia: per l'ex Napoli è un momento difficile, ma il c.t. Luciano Spalletti continua a tenerlo titolare
È un bel pomeriggio di sole caldo e i cronisti non devono andarsene nella foresta fitta e buia, tra i rami bassi, nascosti come ranger, per capire cosa succede in campo. Luciano Spalletti decide che l’allenamento sarà a porte aperte, apre pure un sorriso prima della partitella, che diverte i tifosi, ma che non fornisce indicazioni. I calciatori che hanno affrontato i croati sono rimasti a fare cyclette in palestra e, perciò, la formazione con cui affronteremo gli svizzeri sabato a Berlino è ancora da immaginare. Ci sono molti dubbi. Restano casi spinosi. Come quello di Jorge Luis Fregio Filho, meglio conosciuto come Jorginho.
Il nostro regista sta disputando un pessimo europeo. È lento, senza ritmo. Perfidi, hanno scritto: cammina. Di certo non ha lampi, non inventa corridoi. Mai un lancio. Gioca a un tocco, ma nel senso che gliela passano: e lui gliela ripassa. Di lato, se va bene. Se no, all’indietro. Discreto solo nella prima partita, contro l’Albania. Imbarazzante contro la Spagna (il cittì, pizzicato dalle telecamere di Sky, gli urlava frasi durissime: «Che se la venga a far dare, altrimenti è inutile che giochi!»; poi, nell’intervallo, lo sostituì). Male contro la Croazia.
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Però Spalletti, finora, l’ha tenuto tra i titolari. Sempre. All’inizio, quando aveva chiesto alla squadra di provare a interpretare e realizzare il suo ambizioso, quasi visionario progetto fatto di schemi liquidi, calcio perimetrale, calcio relazionale, insomma quella roba lì (s’è capita così e così noi, a parole, in linea teorica, figuriamoci i calciatori che dovevano applicarla sul campo): e poi però Jorginho è rimasto al centro della manovra azzurra anche quando contro i croati ci siamo schierati con un prudente e molto italiano 5-3-2 (altroché 3-5-2: perché se i «braccetti», i quinti sono Di Lorenzo e Dimarco, è chiaro che parti con l’idea di avere cinque difensori di ruolo, sul prato).
Spalletti sembra non fidarsi di fa*gioli
Insomma: Spalletti, che aveva escluso Jorginho dalla sua prima lista dei convocati (all’esordio in panchina, settembre 2023), adesso sembra non poterne fare a meno. Perché? A domanda, più o meno diretta — cercano spesso di trovare formule diplomatiche, e non sempre funziona — il tecnico ha spiegato che «lui è l’unico a poter dire ai suoi compagni dove devono mettersi. E di quei giocatori lì, ne abbiamo pochi nel gruppo».Il sostituto naturale di Jorginho sarebbe fa*gioli (non Cristante: bravo a fare un po’ tutto, in mezzo al campo, ma che del regista non ha i tempi).
Solo che il cittì sembra non fidarsi fino in fondo di fa*gioli. Conoscete la storia di questo calciatore: viene convocato nonostante avesse da poco finito di scontare la squalifica e non pochi osservatori dicono e scrivono che, vabbé, insomma, addirittura premiarlo con un Europeo, forse è stato un filo inopportuno. Spalletti, però, ignora ogni perplessità: il materiale umano che gli offre il nostro campionato è di una modestia tremenda e spiega di averlo preferito a Ricci, perché è quello che interpreta meglio il ruolo di playmaker tra i giovani italiani. Dice proprio così: tra i giovani (anche se fa*gioli ha 23 anni, Pedri 21 e Bellingham 20).
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Jorginho ne ha 32, in parabola cadente, molto vissuti. Con addosso la storia di lui che parte da un campetto zuppo di pioggia dell’Escolinha de Futebol di Guabiruba, Brasile, a 13 anni, tipo che pesava 50 chili compresi gli scarpini, e arriva a Verona, già testa alta e una precisione millimetrica nei passaggi, il pallone accarezzato come gli ha insegnato la madre (se cercate su YouTube, la trovate dentro uno strepitoso video in cui a cinquanta suonati la piazza all’incrocio: dico proprio lei, la madre): e poi però al Verona cincischiano, il contratto non c’è, allora lo sfamano i frati di un convento, lui vorrebbe tornarsene in Brasile, la madre al telefono gli urla «Non ti muovere!», finché il Verona non lo prende, lo fa esordire e da lì finisce nella luce del grande calcio, al Napoli con Sarri e poi a Londra, prima al Chelsea e poi all’Arsenal, dove — la scorsa stagione — ha però faticato molto ad avere una maglia da titolare.
Quella azzurra la prese quando Tite, all’epoca allenatore del Brasile, decise di lasciarlo in Italia e allora in Federcalcio trovarono un suo lontanissimo parente da parte di padre a Santa Caterina, una frazione di Lusiana Conco, in provincia di Vicenza: pratiche, cittadinanza italiana, un Europeo vinto quella notte a Londra e poi la mortificante esclusione dell’Italia dal Mondiale anche per colpa dei due rigori che sbaglia (lui, di solito infallibile) contro la Svizzera. Telefonano dal giornale. «Gioca o no, contro gli svizzeri, Jorginho?». Sì, no, forse, boh.
27 giugno 2024 ( modifica il 27 giugno 2024 | 07:46)
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